Frammenti di Sarajevo

Durante la nostra permanenza nella casa dei nonni, siamo andati a fare un saluto ai vicini di casa che volevano conoscere i bambini.
La loro accoglienza, il loro caffè, i biscotti preparati proprio per l’occasione mi hanno fatto tornare alla memoria un episodio di qualche anno fa…
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Sarajevo – Estate 2000 – L’estate dei 20 anni.
 
L’atmosfera di una guerra appena finita, o forse, non ancora finita del tutto.
Palazzi distrutti, buchi sui muri, segni delle pallottole per terra, pezzi di granate ancora visibili, il cemento rosso sull’asfalto ad indicare che lì, proprio in quel punto, era avvenuta una strage.
 
Un’ottantina di ragazzi divisi tra il quartiere cattolico, il quartiere serbo e quello musulmano erano lì per far passare un’estate di giochi ai bambini e ai ragazzi del posto e per dare una mano a ricostruire le loro case. Sì, proprio fisicamente, armati di vanghe e picconi.
 
Il loro mezzo di trasporto erano delle vecchie e scassate biciclette che si erano portati da Milano e che poi avrebbero lasciato lì alla gente del posto.
Avevano dato una bicicletta anche a Nino, il traduttore del quartiere cattolico.
 
Nino aveva un problema di circolazione alle gambe (gli avevano detto di bere molto succo di pomodoro per stare meglio) e per questo, a mezzogiorno, a turno due ragazzi lo riaccompagnavano a casa.
 
Quel giorno i compagni di bicicletta erano Silvia e Alessandro; prima di andare a casa, però, Nino si sarebbe dovuto fermare da Don Luca.
 
“Venite a bere un caffè, mentre noi parliamo.”
E caffè sia.
“Dopo il caffè, cosa c’è di meglio di un bel grappino?”
E grappino sia.
 
Era mezzogiorno.
 
Ma non ci si può rifiutare perche l’ospitalità, l’accoglienza, la gentilezza, pur non avendo niente, è qualcosa di straordinario, spiazzante, che va dritto al cuore.
 
Pur non avendo niente, ti danno tutto ciò che hanno.
 
Tuttavia i due ragazzi lo impararono a loro spese una lezione: mai finire il bicchiere. Te le riempiono immediatamente.
 
Quando Don Luca e Nino finirono di parlare, i tre si rimisero in bicicletta.
 
Come un regalo, Nino raccontò la sua storia.
 
Lui era italiano, e quindi cattolico, sposato con una donna serba ortodossa. Avevano due figli, ormai grandi, di cui uno, per amore della sua donna, si era convertito all’Islam durante la guerra.
 
Le tre religioni in conflitto tra loro erano racchiuse in quella piccola famiglia: chissà cosa dovevano aver passato.
 
“Salite un attimo così vi offro qualcosa”
“Nino grazie ma dobbiamo tornare al campo”
“Non ammetto repliche: vi voglio far conoscere mia moglie e la mia nipotina”
 
La casa era piccola e accogliente; sembrava che la moglie la riempisse tutta con la sua voce squillante e il suo viso espressivo, così espressivo che Nino non serviva più perché si capivano benissimo!
La nipotina era bionda, dagli occhi grande e intimidita da questi due ragazzi sconosciuti.
 
La grappa alle ciliegie, che ovviamente non poterono rifiutare, era decisamente buona.
 
Dopo due bicchieri, Silvia ed Alessandro, dovettero proprio andarsene.
 
Inforcarono le biciclette e, a zig zag perché non riuscivano ad andare dritti, si avviarono verso il “casa”, una scuola del posto.
 
Silvia era felice e non per le quattro grappe, anche se contribuivano alla sensazione di leggerezza.
 
Si guardava intorno e vedeva le contraddizioni di quella città, del conflitto ma, soprattutto, del dopo-guerra: vedeva case completamente distrutte e case perfettamente ricostruite una a fianco all’altra.
Respirava l’atmosfera della guerra, ma sentiva ancora più forte il desiderio della gente di rinascere, di ricostruire, i loro sorrisi, la loro accoglienza.
 
Sarajevo – Estate 2000 – L’estate dei 20 anni.
 

Comments

  1. bellissimo. ho pianto, anche se le mie esperienze sono altrove. si tratta pur sempre delle estati dei 20 anni.
    grazie
    silvietta

  2. Poesia. Bellissimo racconto.
    Mi sono commossa.
    Ulcy

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